Un’introduzione di Sylvain Bellenger
Poche città al mondo possono essere identificate con un elemento della natura. Napoli è completamente identificata con il Vesuvio. Non c’è terrazza, prospettiva urbana, finestra della città che non ricerchi uno scorcio di veduta del Vesuvio. Napoli è una specie di anfiteatro costruito attorno al Vesuvio. Ma il Vesuvio è anche un memento mori. Un pericolo. È l’immagine dell’esplosione che i napoletani hanno costantemente dinanzi agli occhi.
Napoli è il Vesuvio, ed il momento più catartico, il momento più simbolico del rapporto tra Napoli ed il Vesuvio è il Capodanno. Quando la città festeggia l’inizio dell’anno con una serie di fuochi d’artificio assolutamente incredibile. Una sorta di battaglia di Baghdad che esplode nel Golfo.
Quando mi hanno parlato di te, Mario, del progetto che stavi sviluppando sul Vesuvio, non potevo immaginare la straordinaria relazione che hai stabilito con la luce. Pensavo al paesaggio, all’altezza del vulcano, alla forma del Golfo. Ero curioso di vedere cosa avevi creato non appena ho saputo che avevi sviluppato questo progetto per dodici anni. Questa ossessione, questa determinazione, la costanza della tua curiosità mi hanno davvero intrigato. Quando ho visto le prime immagini, mi sono reso conto che il tema non era il Vesuvio quanto la relazione tra la città ed il Vesuvio. Quello che osservavi non era nemmeno la città, quanto quella sorta di esplosione ironica, la trasformazione della paura in gioia che è un fuoco d’artificio. Ed è questo ciò che in principio hai ricercato, eppure non so quanto lo avessi previsto, o se è stata una evoluzione successiva della tua ricerca.
Ma il legame tra la fotografia e la pittura, il legame tra la fotografia e la luce sono diventati il tema centrale del tuo lavoro.
Inoltre mi ha molto intrigato vedere come, attraverso questo lavoro estremamente importante sul rapporto tra fotografia e pittura, vengono sviluppate riflessioni che molti pittori del XX secolo hanno fatto sulla fotografia. Penso ovviamente a Richter, uno degli artisti maggiormente influenzato dalla fotografia.
La tecnica che utilizzi per questi quadri fotografici è assolutamente straordinaria e va ben oltre il semplice fuoco d’artificio fotografato, ben oltre la traccia luminosa del fuoco d’artificio. Cattura l’esplosione simbolica al centro delle grandi paure contemporanee, la paura dell’esplosione nucleare, la paura dello Spazio Infinito, la paura suscitata dal flusso continuo di immagini di esplosioni che la coscienza umana non è mai riuscita ad accettare e mai potrà accogliere. C’è una tensione intellettuale in queste immagini esplosive che trasmettono gioia, forse, ma ancora più terrore. E tutto ciò, in sintesi, fa di quest’opera un’opera d’arte.
Per cui ho pensato che fosse pertinente inserirla nella collezione di Capodimonte, nella nostra serie di mostre che spesso indagano la relazione tra la collezione storica e lo sguardo contemporaneo.
E naturalmente, molti visitatori che vedranno questa mostra ricorderanno che nelle collezioni di Capodimonte ci sono le opere di Jacques Antoine Volaire, che è diventato praticamente un ritrattista del Vesuvio. Ha dipinto l’eruzione del Vesuvio per tutta la sua vita. E, naturalmente, Andy Warhol, che ha fatto del Vesuvio un vero e proprio ritratto.
Quindi ritengo ci sia una forte coerenza tra la storia di Capodimonte, il cuore di Napoli, i simboli di Napoli, il fuoco, fuochi d’artificio, il fuoco del Vesuvio, e le nostre collezioni e questa nostra nuova esposizione.